Parigi, Opéra Bastille, “Capuleti e Montecchi” di Vincenzo Bellini
IL ROSSO E IL NERO
Capuleti e Montecchi è la prima opera “riuscita” di Vincenzo Bellini; il compositore, abbandonata ogni magniloquenza, si concentra sui sentimenti dei protagonisti con un canto elegante e raffinato in cui ornamenti e virtuosismi non sono più fini a sé stessi ma divengono espressione del sentire e di un amore impossibile e sublimato. La vicenda shakespeariana si trova notevolmente ridotta, l’ambiente e gli altri personaggi hanno scarso rilievo essendo il melodramma concentrato esclusivamente sulla coppia d’amanti. Tutto è già concluso ed irrevocabile, crisi e catastrofe avvengono all’interno delle ventiquattro ore dipanandosi lungo la melodia belliniana infinita e claustrofobica dalle lunghe frasi asfittiche che non lasciano scampo.
Alla Bastille è stato riproposto un allestimento di Robert Carsen del 1996, atteso con interesse per il duplice debutto di Joyce DiDonato nel ruolo di Romeo e di Anna Netrebko per la prima volta a Parigi.
Lo spettacolo di Carsen - diciamo pure a sorpresa - non ha la forte impronta di altre produzioni del regista canadese e, al di là del fatto che si tratti di una ripresa, si percepisce un’assenza di una reale ispirazione, per cui se lo spettacolo risulta coinvolgente si deve principalmente alla presa emotiva delle due protagoniste.
Michael Levine crea un impianto scenico minimalista e funzionale, alte mura rivestite di pannelli rossi, pareti divisorie montate su di una piattaforma girevole per cambiare gli squarci visivi con l’aiuto delle luci di Davy Cunningham. Solo due colori, il rosso e il nero, per esemplificare (non senza schematismi) una vicenda di amore e odio, abnegazione e passione, sangue e morte. Scarni arredi di sapore monastico annegati in un ambiente sviluppato in altezza, un lungo tavolo schiacciato contro il sipario schizzato di sangue, un piccolo lettino sormontato da una croce, una cassapanca. Una prospettiva obliqua suggerisce la navata della chiesa in cui vaga Giulietta fra sedie rovesciate e cadaveri guelfi e ghibellini che si rialzeranno al rallentatore in una danza macabra quando la giovane si affloscerà a terra come un fiore reciso per effetto della pozione (finalmente un po’ di Carsen!). Il sepolcro è un rettangolo disegnato sul pavimento dalla luce che filtra da un vano scale, una tomba che Romeo non osa avvicinare lasciando sgorgare dall’oscurità un lamento intimo e disperato, ma oltrepasserà la linea d’ombra e spirerà sull’altare di luce nel Liebestod insieme a Giulietta.
Difficile credere Joyce DiDonato debuttante nel ruolo se non per l’intensità e l’emozione lontana dalla routine che ha saputo infondere a Romeo. La voce è sicura, la linea di canto perfetta e fedele ai dettami del belcanto, il canto trascolora con bellissimi passaggi dal forte al piano, dal grave all’acuto, con tale armonia e intensità da restare soggiogati; parole e frasi sono scolpite con espressività vibrante e mutevole, le colorature non sono vuoti esercizi di stile ma comunicano ardore, energia, disperazione e si stabilisce un rapporto empatico con il pubblico travolto in una immedesimazione catartica.
Anna Netrebko ha affrontato più volte il ruolo di Giulietta, ma in questa occasione era particolarmente attesa dal suo pubblico trattandosi di una delle ultime apparizioni prima della maternità. La voce è apparsa consistente, intensa, screziata di ambra e di miele, agile il registro superiore, suggestive le mezzevoci. Una Giulietta più virginale che appassionata, ammantata di un ‘aura elegiaca e casta al limite della “pruderie” (peraltro giustificabile dalla gravidanza) che trova i momenti migliori nei duetti con Romeo in cui le voci, pur distinguendosi per colore, sembrano fondersi senza prevaricare, come pure nell’invocazione al padre, una supplica esemplare carica di pathos e trasporto.
Da segnalare Matthew Polenzani che con voce chiara, duttile e capace di sfumature rende espressivo Tebaldo pervadendolo di giusta vena patetica. Fra le parti di fianco Mikhail Petrenko, un Lorenzo di buoni mezzi vocali ma dalla dizione da perfezionare e Giovanni Battista Parodi, Capellio patriarcale e implacabile.
Evelino Pidò accompagna con mestiere un’orchestra poco incline a questo repertorio con buoni risultati, riuscendo a restituire di volta in volta la giusta atmosfera, marziale e veloce nella sinfonia introduttiva per introdurre le conflittualità politiche, privilegiando poi tempi lenti e sognanti per mettere in rilievo i risvolti elegiaci e malinconici della partitura.
Discreta la prova del coro preparato da Alessandro Di Stefano.
Un teatro esaurito ha tributato piene ovazioni alle protagoniste e un’accoglienza trionfale a Joyce DiDonato, autentica star della serata.
Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 24/05/08
Ilaria Bellini
Teatro